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Continui

Continui a spogliare puttane in quest’inverno infame

Coperte rase al suolo, buchi da macellaio

Su questa pelle ruvida, cappotto di rame.

 

Continui a cadere dentro la mia testa

Ombra funesta respinta (resa umana) ma mai lasciata

Dimenticata riposare ad una festa

 

Continui a misurarmi, a stancarmi, a sedurmi

Mi uccidi con lo sguardo di un profeta fatto in patria

Mi ribolli mi rivolgi sospeso sotto i ponti

 

Come un impiccato oscilli, livido di pugni.

21aprile2013

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L’amore di Gennaio

Vuoi fare un gioco dici, ma che gioco è scrivere dell’amore tentando di estirpare la radice profonda del suo significato. Essa è libera, esiste nelle foglie degli alberi e si muove al suono di una danza tribale fatta di vesti trasparenti, sudore sacro, fuoco lucente. Amore è solo una parola che riesce a contenere universi, galassie, mantra millenari. Amore è umani pensieri perché in realtà non esiste. Potrei elencarti tangibili sentimenti che introducono all’amore l’amore stesso ma che senso avrebbe poi fare l’amore. Amore di nascita che impariamo a ricevere senza bisogno di riceverlo, disadattati dal tanto colmare d’amore inciampiamo col fiato tra i denti; amore imposto; amore meritato; ferite d’amore; ci uccidiamo per amore e uccidiamo l’amore; deleghiamo amore; assorbiamo, cuciniamo con amore; supplichiamo l’amore e preghiamo con amore. Denominatore di base ma in realtà ribadisco ancora che non esiste. Che cosa banale scrivere dell’amore e tentare di raccontarlo. Posso trovarlo in un filo di blu oltremare, nel rumore dell’acqua, nelle onde che si infrangono a riva o nella cascata che scroscia sul fiume. Trovi amore in uno sguardo rubato, in un bel paio di occhi penetranti e lucidi di te. Amore nel sangue che cola lento dalle braccia pugnalate, feriscimi amore! In realtà non è il cuore, non è il cuore che detta la scarica. Non è la pancia (o il plesso solare) ma è la testa che compie il viaggio chiamato amore. Ci troviamo in balia di noi stessi e nudi vediamo riflesso un corpo prosciugato e magro mentre fuori siamo flacidi e grassi. L’amore è come bere fino ad arrivare al momento in cui siamo dissetati senza chiedere liquidi in più. Non abbiamo bisogno di nient’altro nel nostro corpo. In realtà non avremmo bisogno di “bere” poiché tutto ciò di cui abbiamo bisogno è insito in noi. Radicato. Noi siamo amore e dovremmo bastare a noi stessi. Condividendoci certo ma senza dividerci. Amore senza parole, amore fatto di parole. Amore sulle note, dolce amore, amore platonico, plastico. Maledetto amore… Io, io mi arrendo all’amore! Ho passato tutta la vita a rendermi schiava di esso. Credevo di essere fatta apposta. Ruoto, vortico attorno l’amore del mondo. Sono una sfera d’amore e più volte mi è stata invidiata o disprezzata la mia capacità a vivere nella più completa fiducia d’amore. Immersa, sprezzante del pericolo. Innamorata dell’amore. Pretendo l’amore che è l’obbligo di tutti, se non altro non esiste. Castello fatiscente creato per dare un nome a tutto, un marasma di valzer ballati in solitudine, poi in coppia. La coppia non esiste e ne abbiamo paura, ma essa ci completa e rassicura e questo basta. Esperienze d’amore, donarsi, compiere gesti. Silenzio. Muto. Passare la mano sui fili d’erba umidi di rugiada. Stringere il pugno nella sabbia calda, sedersi sotto fiocchi di neve che scendono dal cielo, di notte. I colori dei tramonti, delle albe, delle nebbie. Profumi del bosco, muschio, funghi, animali, cane bagnato, il sudore lucido del cavallo appena montato; spazzolarlo e toccargli il muso, alito caldo dalle narici. Posare una conchiglia sull’orecchio e sentire il mare. Casa tua, mamma e papà, amici unici, sconosciuti che imprimono in te momenti che ricorderai tutta una vita, gli insegnamenti dei nonni, le loro storie, i loro occhi lucidi e malinconici, l’innocenza dei bambini, lo stupore che leggi nei movimenti delle loro articolazioni, le scarpe sporche con noncuranza dei loro giochi. La benzina, la droga… Amore è ammirare un fiore bellissimo, dai petali setosi che sprigiona un odore intenso, come il mosto del vino, accostarsi ad esso chiudendo gli occhi per poi viaggiare al suo interno, vivere nella sua linfa vitale; senza coglierlo, ma semplicemente godere di questo mistico mistero chiamato bellezza e vita. O bellezza è vita. Ma ovviamente, l’amore, non, esiste.

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LETTERA AD UN AMICO

Ho la casa piena di polvere, che non spolvero più.

Lettera a un amico, a te che do sempre per scontato, tu ci sei. Sei li con il tuo sorriso ampio, grande, che riesci a fare a bocca chiusa e i tuoi passi lenti, che mi fanno capire quanto sia importante camminare assaporando ogni metro di strada trascorso, riuscendo persino a guardare le persone che ti passano accanto. Amico che non si capisce bene da dove sia saltato fuori e di come mi sia fidata a partire per un viaggio spirituale in india con te. Forse nasce tutto da li, dalla simile voglia di guardare la spiritualità. Siamo simili ma disuguali. Ci capiamo ma non troppo. Siamo maschio, siamo femmina. Fossimo due maschi o due femmine saremo molto più uniti. Amico mi dispiace l’altra sera averti visto fuori dallo studio seduto solo, magari mi stavi aspettando e io non mi sono fermata. Ma sembra che tu possa aspettare in eterno senza che nessuno ti disturbi. Amico mi hai fatto sorridere in momenti bui come la notte, in giornate bianche come la neve, mentre io continuo a ritrovarmi in tutta la buiezza che possa esistere, la mia condizione latente. In india mi dispiace aver deviato la strada quella sera della festa a Rishikes, approfittando della tua accondiscendenza, come fosse un denominatore della tua personalità. Ma come vedi so essere egoista e sincera allo stesso tempo. Amico sono in un momento in cui non mi curo di niente e troppo spesso ho gli occhi velati di lacrime, una sofferenza che tarda ad andare via. È un sottile dispiacere che mi trafigge lo stomaco e il cuore, soprattutto il cuore, sento quanto si stia rimpicciolendo. Tra poco lo vedrò scomparire. Sto sperimentando l’abbandono, la lontananza, la finzione nel cercare il piacere di uscire e di parlare con le persone, la voglia di sfidarmi per non lasciarmi andare, cadere immobile su un letto dal quale non mi alzerei mai. Ogni giorno combatto una sfida con me stessa, quella di vedere il positivo e di sorridere, quella di amare ciò che mi circonda, quella di sentire i profumi della campagna e dei cibi. Invece mi affogo di sit-com. Proiettata nei personaggi dimentico me stessa, con l’aiuto di mille sigarette che mi uccidono i denti e vini già ubriachi che mi inacidiscono la bocca. Comincio ad avere dei vuoti di memoria breve, non fumo le canne. Non ricordo chi sono, non ricordo come sono arrivata fin qui. So che sono orfana di padre e insicura di madre, so che le mie relazioni sono affondate o andate alla deriva, so che sono insicura ma buona, so che sono furba e capace di provare sensi di colpa immotivati. So che soffro, da sempre, da prima di nascere. So i motivi di tutto questo ma non ho le chiavi per risolvere. Le cerco con lo yoga, con lo sport di squadra, con il teatro, con i colleghi, con l’ipnosi, con i libri e le letture e i video di meditazione. La mia ricerca perenne nel trovare amiche che non mi tradiscano o mi voltino le spalle. Mi è successa tanta roba. Ho scritto milioni di parole a me stessa, a persone, a interlocutori occasionari. Le parole mi amano. Scrivere mi svuota e mi riempie, come il movimento delle onde a riva. Vorrei fare qualcosa di felice ma non riesco, ora riesco solo a pensare che devo guarire da questa malattia. Sono stanca, passo continuamente attraverso dei no, dei voti di sfiducia o di ostacoli troppo alti da saltare. Non sono in gara, non mi sento in gara con il mondo, io voglio fare pace con il mondo. Non riesco a sorridere, ho la casa piena di polvere e i piatti nel lavello devono essere lavati. Non farò niente anche stasera. Mangerò la mia stessa polvere nei piatti del lavello. Non ha un lieto fine questa lettera Amico.

(20marzo2012)